Trieste Meravigliosa

di Fabiana Redivo

Storie quotidiane della città tergestina

Edizioni della Sera


Scattare una foto ricordo a braccetto con James Joyce. Usare nomi in codice per chiedere un caffè al bar. Essere sorpassati a sinistra da un cassonetto delle immondizie in fuga. E ancora: il giallo della pipa scomparsa di Saba. A Trieste, ordinaria amministrazione. Una città stravagante, irriverente e nostalgica, dove puoi trovare Claudio Magris seduto a un tavolino dello storico Caffè San Marco e incontrare “la contessa” mentre fa la sua promenade quotidiana, impeccabilmente vestita in abiti di fine ottocento o primo novecento. La città del “se no i xe mati, no li volemo” (se non sono matti, non li vogliamo) e del “no se pol!” (non si può!), dove abitano “nagane” (i coatti triestini) e “mati tuti in tiro” (persone “tirate a lucido”). E “mato” non significa solo “matto”, ma anche “tizio”, chiudendo il cerchio: “se no i xe mati, no li volemo”. Una follia collettiva. Tutta colpa della Bora.

Forse.

Forse proprio in quel vento gelido e sfacciato si nasconde il segreto del “morbin”, della capacità dei triestini di affrontare ogni avversità con la battuta pronta, magari camminando contro vento; una vita spettinata all’insegna delle Operette al Teatro Verdi, e delle bevute in compagnia nelle “osmize”. Una Trieste elegante e anticonformista, dal sapore mitteleuropeo e orientale, raccontata al triestino e al turista con una narrazione vivace fatta di ricordi, sensazioni, emozioni e fatti di cronaca.

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