LUCIANO BRONZI

Luciano Bronzi è nato il 5 novembre del 1939 a San Giovanni Valdarno, in provincia di Arezzo ed è stato uno dei più grandi cabarettisti di Trieste. Figlio d’arte, la madre infatti era una ballerina di varietà ed il padre Dino un celebre comico, raggiunse la popolarità negli anni settanta quando si fece conoscere dal pubblico triestino mettendo in scena spettacoli comici su radio e televisioni private locali dopo esser stato incoraggiato da Oreste Lionello. Sfruttò fin da subito il suo passato di autista dell’ACT, l’allora Azienda Consorziale Trasporti che gestiva il trasporto pubblico urbano nella provincia di Trieste, per portare in scena divertenti gag nate dall’ascoltare ed osservare la gente comune che utilizzava i mezzi pubblici, portando all’esaltazione estrema le tipiche figure dela vecia (l’anziana), del’imbriagon (l’ubriacone), dela baba finota (la signora per bene) e ogni altra figura idonea a dar vita ad un caratteristico personaggio triestino. Famosa infatti la sua frase “mai cabaret più vero te pol trovar in un autobus!” pronunciata spesso come grido di battaglia per intraprendere le gag dell’autobus. Grandissimo inventore e raccontatore di barzellette, incise svariate cassette e scrisse testi comici come la famosa storia di Carlino e Maria La Longa composta con i nomi di moltissimi paesi del Friuli. Nelle sue barzellette trovavano sempre posto il campanilismo triestino, la rivalità con Udine, l’ubriachezza molesta, l’anti-religiosità per antonomasia della Trieste ricca di chiese di ogni culto ed ovviamente i tradimenti amorosi e la politica. Negli anni settanta fondò anche il gruppo degli Osimanti, definiti da lui stesso gli anti-cabarettisti. Partecipò varie volte a trasmissioni televisive sulle reti Mediaset come “La sai l’ultima?” con Pippo Franco prima e Gerry Scotti poi e si esibì allo Zelig (allora Derby) di Milano.

E’ stato un personaggio molto amato dai triestini che l’hanno sempre seguito nel suo pellegrinaggio teatrale tra ristoranti e sagre, veglioni e feste.

Dagli anni novanta sparì dalle scene afflitto da problemi di salute per ricomparire sul finire del XX secolo a seguito di un annuncio che Il Piccolo, quotidiano di Trieste, officiava a seguito della sua morte. Un clamoroso coccodrillo per la testata che fu accolto con grandissima ironia dal caratterista: “no xe de tuti leger in anticipo el proprio necrologio!“.
Purtroppo il mattino dell’8 marzo 2009, Luciano Bronzi si è spento in seguito ad una crisi cardiaca, lasciando un vuoto incolmabile in una città che, nonostante la sua silenziosa uscita di scena, non l’aveva mai dimenticato e mai lo dimenticherà. (*)

…e come te ciamavimo noi de fioi tanti ani fa

Ciao Zio Luciano

cantando zio Luciano zio Luciano vieni a prenderci la mano…

Massimo Barbo – TuttoTrieste.net

MARISA

la conobi una sera,
in un bar de Bariera,
le gambe a rochel,
de bassa statura,
un poca de panza
e pien de pitura

Però la gaveva
piantà sul davanti,
do’ robe ve digo
do’ zuche giganti

Ma che tetone
che gaveva Marisa
sbregava i botoni
de quela camisa
do’ robe ve digo de fare paura
sicuro gaveva la nona misura

“La bevi un bicer?!”
Mi ghe fazo finoto…
“Va ben” disi ela,
“bevemose un godo”
Do’ trape, una bira,
sei uischi, tre amari,
e sete campari…
El conto xe alto
quatordisi e sete
ma valeva la pena
per quel per de tete

Ma che tetone
che gaveva Marisa
sbregava i botoni
de quela camisa
do’ robe ve digo de fare paura
sicuro gaveva la nona misura

Vado a casa con ela,
son tuto un sudor,
la taca a spoiarse,
son pieno de ardor.
Però senza calze,
che gambe pelose
che muscoli ai brazi,
che mani callose…
Pò’ svola paruca,
le tete xe finte
ghe pica un do’ robe
che par un do’ s’cinche!

Ma che coioni
che gaveva Marisa
do’ bale de tenis
picava ala sbrisa.
Do’ robe ve digo de fare paura
‘na longa gaveva de nona misura!
Do’ robe ve digo de fare paura
‘na longa gaveva de nona misura!

CHE PUTELA!

Che putela, che putela…
vacca mastela, vaca mastela
Che putela, che putela…
vacca mastela la voio sposar!

La vidi un giorno a Barcola,
sul tram numero sei.
Do’ oci cussì grandi,
pareva do ferai…
La iera tanto cocola, l’aria de gran signora.
Mi me go dito “Ciano,
per ti xe giunta l’ora!”

Che putela, che putela…
vacca mastela, vaca mastela
Che putela, che putela…
vacca mastela la voio sposar!

La colpa fu del tram,
passado sora un buso,
el ga dado un scasson… e ghe son cascado suso.
Alora lei voltandosi, con voce assai cordiale,
la ga dito in un sospiro
“Va in mona de tu mare!”

Che putela, che putela…
vacca mastela, vaca mastela
Che putela, che putela…
vacca mastela la voio sposar!

Se sa che no son rico,
ma nianca sai de meno, alora ghe go dito:
“Te vol che se sposemo?”
La ga risposto: “Giovine, se el ga intenzioni oneste,
la vegni a casa subito per far le sue richieste…”

Che putela, che putela…
vacca mastela, vaca mastela
Che putela, che putela…
vacca mastela la voio sposar!

“Mi stago in via Crociferi, de sora via Cavana…
go do’ fradei in canon… che ga copado mama.
Papà xe alcolizado e zia xe orba de un ocio,
nono ga mal de fegato e zio xe un pò… fenocio!”

Che putela, che putela…
vacca mastela, vaca mastela
Che putela, che putela…
vacca mastela la voio sposar!

“No voio che nassi equivoci e nianca malintesi,
perciò ghe digo subito, son piena de tre mesi!
Go un fio su dale Monighe e un altro dai parenti,
go anche do gemei… ma i xe un poco deficenti!”

Che putela, che putela…
vacca mastela, vaca mastela
Che putela, che putela…
vacca mastela… xe meio scampar!

LA STORIA DE CARLINO E MARIA LA LONGA!

CARLINO e MARIA LA LONGA erano due bravi ragazzi.
Un giorno che CARLINO aveva voglia di GEMONA, disse a MARIA LA LONGA (che era un bel AMPEZZO DI FAGAGNA): andiamo un ATTIMIS nella mia VILLA SANTINA che ti faccio vedere il TRAMONTI DI SOPRA.
MARIA LA LONGA rispose: vengo nella tua CASARSA, ma solo per un AZZANO DECIMO di secondo.
Presero dunque un TOLMEZZO pubblico, attraversarono un FIUMICELLO ed arrivarano al PALAZZOLO.
A quel punto MARIA LA LONGA prese per PRADAMANO il suo CARLINO, gli diede un BARCIS sulla bocca e lo condusse sul BORDANO del PRATO CARNICO e gli sussurrò accarezzandogli il BICINICCO : bel MORUZZO, sono tutta BAGNARIA ARSIA di desiderio.
Allora CARLINO le SOCCHIEVE la TAIPANA dicendo: io sono un MANIAGO ma tu sei una PORCIA!
Le TOLMEZZO le mutande, tirò fuori l’ ERTO CASSO inserendolo nella TORVISCOSA STREGNA.
Sei CHIUSAFORTE, disse CARLINO, ma ora ti VERZEGNIS ben io.
Intanto MARIA LA LONGA strillava come un’AQUILEIA gridando: ce l’hai TREPPO GRANDE, sei troppo ROVEREDO, ti prego FLAIBANO che c’è più gusto!
Ora, disse CARLINO, te lo metto allora nel SEDEGLIANO. NIMIS urlò MARIA LA LONGA; questo è OSOPPO, mi fai troppo MALBORGHETTO.
Sei un MAIANO. MORTEGLIANO te e tutti i tuoi parenti.
E tu sei una MUZZANA, una REANA e BUDOIA, le gridò CARLINO, poi preso da una grande LESTIZZA disse: ecco, ora ha il CAVAZZO MOGGIO e l’AMARO in bocca.

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